Una barriera competitiva rappresentata dalla qualità, dal «saper fare» e dal gusto italiani, diffusi verticalmente all'interno della filiera dei fornitori. La Manifattura di Domodossola ha difeso così, anche in questo difficile 2009, la propria leadership sui mercati esteri, Spagna, Giappone e Stati Uniti in testa. «Esportiamo il 50 per cento della produzione – spiega il presidente, Giuseppe Polli –, ma l'altra metà va alle grandi firme della moda italiana, per cui è possibile affermare che, direttamente o indirettamente, il 90-95% di ciò che realizziamo finisce all'estero».
La Manifattura di Domodossola, storica azienda del Verbano-Cusio-Ossola (è nata nel 1913), produce articoli intrecciati in cuoi e fibre naturali in lino, lana, cachemire e cotone per cinture intrecciate, borse, arredamento per yacht. Una nicchia che vale circa 10 milioni di fatturato all'anno, per un'azienda che da poco ha rinnovato l'intero stabilimento.
«L'anno scorso abbiamo avuto qualche comprensibile difficoltà – aggiunge Polli –, ma nella seconda metà del 2009 abbiamo registrato una piccola crescita di un paio di punti percentuali. Nel segmento di fascia alta siamo leader mondiali: presidiamo la nicchia grazie a costanti investimenti in tecnologia e ricerca, abbiamo acquistato macchinari particolari che ci permettono di fornire ai nostri clienti, da Hermes a Gucci passando a Louis Vuitton, le migliori soluzioni qualitative. Se non facessimo così, chiunque potrebbe aggredire la nostra nicchia, a partire dai cinesi, che hanno già in mano l'intero mercato a basso valore aggiunto».
La crisi del tessile italiana dei settori "di primo ingresso", è però, indirettamente, una mina anche sulla competitività di aziende come la Manifattura di Domodossola. «Noi produciamo al 100% nel territorio italiano, anche perché delocalizzare significa perdere le competenze necessarie per competere – spiega il presidente –. Il rischio, però, è perdere gli anelli della filiera: certi cotoni, certi lini, dove vado a prenderli se l'industria di base italiana chiude i battenti? Bisogna difendere gli anelli più fragili, combattere in sede europea per la tutela del Made in Italy. In questi anni il nostro fatturato Italia ha tenuto: è la dimostrazione che il nostro manifatturiero è ben strutturato. Le produzioni di eccellenza, però, esistono proprio perché a monte c'è una rete di competenze e di qualità: senza la filiera italiana non si va da nessuna parte».